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AL LAVORO!

Burnout: Il Lavoro brucia… il lavoratore![1]

Alfonso Leo

È ormai riconosciuto che il fenomeno del burnout o, come lo chiama il legislatore italiano, lo stress lavoro-correlato, ha una prevalenza di circa il 50% nei medici sia in Europa che negli Stati Uniti. Ha raggiunto i livelli di una vera epidemia e la tendenza è in aumento nel corso degli anni.

Le conseguenze dirette le pagano gli operatori di sanità, ovviamente, ma il burnout determina anche conseguenze negative sulla qualità delle cure e sui risultati su larga scala.

Un recente studio ha dimostrato che il burnout dei medici è associato al raddoppio del rischio clinico, di comportamenti non professionalmente corretti e bassi gradi di soddisfazione da parte dei pazienti.

Questi risultati sono, come dice la prof.ssa Panagioti in un recente articolo[2], preoccupanti ma non sorprendenti.

Questa ricercatrice ha evidenziato che la consapevolezza del problema da parte degli operatori è bassa e solo il 14% del campione investigato è risultato essere consapevole della condizione di burnout e del fatto che ciò potesse condurre ad una cura sub-ottimale del paziente.

Finora l’intervento delle autorità sanitarie è stato improntato ad aumentare la sicurezza dei pazienti attraverso l’identificazione e il monitoraggio dei soggetti più fragili o della vulnerabilità dei sistemi, ma si è trascurato il problema del burnout degli operatori di sanità. Si è ormai constatato che proprio il burnout degli operatori di sanità può mettere a repentaglio la salute dei pazienti.

Si comprende, allora, che modificare tale rischio diventa un fattore fondamentale nella politica sanitaria a livello globale!

Diventa ovvio che il sistema sanitario ha il dovere e “l’interesse” a riconoscere e a trattare il burnout per migliorare anche la cura dei pazienti. Il sistema e i membri dei vari team dovrebbero lavorare insieme per riconoscere le cause e ed offrire un intervento adeguato al burnout.

Ma se non esiste più la catena di montaggio, come in “Tempi Moderni” di Chaplin, esiste una forma più sofisticata, il lavoro è sottoposto a procedure, statistiche, algoritmi. Il lavoro isola l’individuo, non gli lascia iniziativa, né il controllo, né la responsabilità. Il lavoratore diviene egli stesso un oggetto senza valore d’uso. Ciò può spiegare il crescente disgusto nei confronti del proprio lavoro. La domanda che sorge è “che gioia proviamo a fare il nostro lavoro?” Ma non è solo un problema di disaffezione al lavoro, ma, come confermano le indagini in merito, la problematica attiene molto all’organizzazione del lavoro.

Come può aiutarci la psicoanalisi lacaniana in questo ambito?

Incredibile, ma vero, qualcuno ci ha già pensato! [3]

In questo lavoro l’autore approfondisce la tematica trattata da Jaques Lacan già a partire dal I seminario sulla rielaborazione della dinamica padrone-servo di hegeliana memoria. La relazione servo padrone è basata sul reciproco riconoscimento dal punto di vista simbolico, cioè quando il soggetto si inserisce in una relazione in cui ognuno accetta la propria posizione, e questo determina l’identità di ciascuno e la natura della relazione. Da ciò deriva che la nostra posizione deriva dalla posizione che diamo all’altro.[4]

Un servo ha bisogno di un padrone e viceversa! Ciò fa comprendere che come dice Lacan il soggetto riceve il messaggio dall’altro in forma invertita, se io dico tu sei il mio padrone affermo Io sono il tuo servo.

Il servo è convinto che il padrone lo sfrutta, ma come Lacan ci ha detto, chi detiene il vero sapere è il servo in quanto un padrone senza servo non esiste, e il padrone non ha le conoscenze che permettono lo svolgimento del lavoro[5]. Un direttore di unità operativa (quello che una volta si chiamava primario) non ha, talvolta le conoscenze tecniche o almeno la manualità che ha il proprio infermiere, tuttavia il “servo” considera il “padrone” come un soggetto che trae ingiustificato beneficio al suo lavoro e ciò è frustrante e aumenta la conflittualità. Questo atteggiamento ancora di più cristallizza le rispettive posizioni di servo e padrone, (vedi la risposta di Lacan agli studenti del ’68 nel Sem. XVII[6]).

La soluzione qual è, allora?

Semplice! Ridefinendo una nuova posizione che non sia più di tipo immaginario, ma simbolico, cioè non più basata su un rapporto di servo padrone ma di differenti ruoli, non più ingabbiato in una relazione legata al lamento, all’impossibilità del mutamento, ma guardando il soggetto come creatore della relazione, in questa maniera si può realizzare qualcosa di nuovo. Se si rimane legati ai ruoli predefiniti anche chi si inserisce dall’esterno nel gruppo tenderà ad assumere gli stessi comportamenti, il ruolo dell’immaginario (così si fa perché si è sempre fatto così) è in questi casi preponderante, ma se qualcuno inizia a lavorare sul simbolico elaborando una maniera tutta sua di stare nel gruppo, questo determinerà di conseguenza un cambiamento anche nel resto del gruppo. Chi si inserisce nella logica del simbolico tiene conto delle opinioni altrui e pone in comune le proprie conoscenze, ma soprattutto mette in gioco il proprio desiderio! Il desiderio… La psicoanalisi lacaniana pone in posizione centrale il desiderio. Ma se il desiderio, come lo definisce Lacan nel Seminario V, non è altro che il desiderio del desiderio dell’altro, si comprende che solo passando dal proprio desiderio, comprendendolo si può strutturare il desiderio comune. Sembra tutto facile in termine teorici, ma le difficoltà sono notevoli legate anche all’esercizio di una professione, quale ad esempio quella medica, improntata da una cultura altamente individualistica, una di quelle professioni definite da Freud impossibili, il curare attività, a tutti i livelli e non solo dal punto di vista medico, psicotica, in cui chi si pone il problema lo fa ponendosi in una posizione di possessore dello scibile sull’interesse e sul benessere dell’altro. La soluzione è possibile solo scendendo dal piedistallo e comprendendo che bisogna, come affermato da Lacan, diventare sicut palea [7]. Comprendere che se si vuole evitare il burnout lasciare da parte l’identificazione attraverso l’immaginario, ma usare il simbolico, che si traduce nel comprendere che si è tutti sulla stessa barca, con diverse funzioni ma tutti legati a un comune destino, comprendere che solo il proprio desiderio può, messo in comune con l’altro del gruppo e, ovviamente con il soggetto che si sottopone alle nostre cure, condurre ad un lavoro gratificante, insomma senza burnout.

Sulla base di queste premesse nell’ospedale in cui lavoro è partita una sperimentazione che ha visto coinvolgere in gruppi di 20 operatori sanitari, di ogni categoria e unità operativa, affidati a 3 conduttori con incontri mensili per un ciclo di 3 mesi.

Proprio per questo la nostra esperienza e il nostro progetto è volto a lasciare uno spazio alla parola, alla parola che permette di parlare e di far parlare il singolo soggetto in un’epoca in cui si “ragiona” solo di masse. Operare secondo una pratica psicoanaliticamente orientata è una sfida, in un mondo in cui si chiede la verifica con “parametri oggettivi”, ma immergersi nella deriva scientista ci obbligherebbe ai test, alle verifiche argomento che non ci può riguardare.  Va tenuto presente che il burnout colpisce soprattutto i più giovani [8] e mentre all’estero si comprende che tale discorso riguarda proprio la formazione degli operatori delle varie professioni d’aiuto[9], in Italia si continua a non fare nulla in merito, in quanto va tenuto presente che il problema del burnout non riguarda solo gli operatori di sanità ma tutte le professioni d’aiuto.

Mettiamoci dunque al lavoro!

 

se cammini e continui a camminare prima o poi la chiameranno strada

proverbio coreano

[1] Brousse M.H. Erotique du Travail in La cause du desir 2018 (99) p.56

[2] Panagioti M, Geraghty K, Johnson J, et al. Association Between Physician Burnout and Patient Safety, Professionalism, and Patient Satisfaction A Systematic Review and Meta-analysis. JAMA Intern Med.2018;178(10):1317–1330. doi:10.1001/jamainternmed.2018.3713

 

[3] Vanheule, Stijn;Lievrouw, An;Verhaeghe, Paul Burnout and intersubjectivity: A psychoanalytical study from a Lacanian perspective Human Relations; Mar 2003; 56, 3; ProQuest Central pg. 321

[4] Lacan J. Il Seminario libro I 2014 pp. 261-265 Einaudi

[5] Lacan J. Il Seminario libro XVII 2001 p.31 Einaudi

[6]  Ivi p.259

[7] Lacan J. Nota Italiana in Altri Scritti 2013 p.307 Einaudi

[8] https://education.med.ufl.edu/files/2010/10/resilience12.pdf

[9] https://www.medscape.com/viewarticle/907041_3

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